Milano, 11 agosto 2021. A settantasette anni dall’eccidio di Piazzale Loreto, Massimo Castoldi, dirigente della Fondazione Memoria della Deportazione e nipote di Salvatore Principato, il più anziano dei 15 martiri, con Sergio Fogagnolo, figlio del martire Umberto Fogagnolo, e Marco Cavallarin, responsabile di Anpilibri, hanno presentato in piazzale Loreto, ieri, 10 agosto 2021, davanti a un vasto pubblico il libro di Massimo Castoldi, Piazzale Loreto, Milano, l’eccidio e il “contrappasso”, Donzelli, 2020.
Un libro
Per la prima volta in piazzale Loreto si è presentato un libro nella ricorrenza dell’eccidio, con lo scopo non solo di ridare voce ai Quindici martiri e alle loro vite, ricostruite nel volume, ma anche di affiancare la conoscenza storica alla pur necessaria commemorazione. L’iniziativa, che ha riscosso un ampio consenso nel pubblico presente, incontra il progetto culturale della Fondazione Memoria della Deportazione di porre la ricerca storica e l’indagine sulle fonti d’archivio al centro della propria attività.
Una lezione online
A tale scopo Massimo Castoldi ha proposto anticipatamente, tramite l’ANPI provinciale di Milano, una propria lezione online, sull’eccidio e sulle sue ragioni storiche, collocandole all’interno della storia di quegli anni. Lezione su Piazzale Loreto, 10 agosto 1944.
Discorso di Massimo Castoldi, 10 agosto 2021
Si pubblica qui inoltre la versione integrale del discorso tenuto da Massimo Castoldi durante la cerimonia del mattino del 10 agosto, in piazzale Loreto alle 9.30, nel quale è affermata la necessità della conoscenza storica, per poter veramente rendere attivi i principi di libertà di pensiero, di opinione e di informazione garantiti dalla Costituzione repubblicana e negati per vent’anni dalla dittatura fascista:
L’impegno della conoscenza
Siamo qui dopo settantasette anni dall’eccidio di piazzale Loreto a ricordare i martiri. Un rito civile che si compie ogni anno e al quale da questo palco hanno partecipato prima mia nonna, Marcella Chiorri, poi mia madre, Concettina Principato, e ora io, che ho accolto e fatta mia la loro testimonianza.
Purtroppo solo una piccola parte del popolo milanese, e ancor meno italiano, sa questa storia ed è concorde nel riconoscere nei martiri di Piazzale Loreto e nella loro memoria un esempio per tutti. Forse anche perché negli anni le loro figure si sono annebbiate e sono state più citate e mitizzate che conosciute, cosicché c’è chi li rispetta ed esalta e c’è chi li ignora, più per appartenenza politica, che per conoscenza. Dobbiamo impegnarci invece a conoscerli e a farli conoscere. Dobbiamo ridare loro la loro parola, che una violenza cieca e brutale ha voluto cancellare.
Il controllo fascista sull’informazione
Il giorno dopo l’eccidio il «Corriere della Sera» lo segnalava, pubblicando il comunicato del comando di sicurezza nazista e intitolava, a propria scelta e senza alcuna indicazione del comando tedesco, Delittuose azioni di sicari esemplarmente punite. La stampa ufficiale, l’unica al tempo che non fosse clandestina, li definiva dunque “sicari” , “banditi”, “delinquenti”.
La maggioranza del popolo milanese questo allora sapeva: che era stata data una punizione esemplare a un gruppo di banditi. E vorrei che su questo fatto soprattutto le nuove generazioni riflettessero.
L’informazione era univoca, controllata dai fascisti, che raccontavano ogni fatto dal loro punto di vista.
Chi faceva controinformazione rischiava di essere arrestato e barbaramente ucciso. Proprio la controinformazione era stata una delle attività di mio nonno Salvatore Principato fin dagli anni Trenta, quando il fascismo soffocò completamente la libertà di stampa e di opinione.
La diffusione della stampa clandestina
Negli anni Trenta si poteva fare controinformazione sfruttando le poste, inserendo volantini in riviste diffuse che parlavano d’altro (moda, guerra, anche cultura fascista) e che venivano fatte circolare, spesso anche in accordo con fuoriusciti nei Paesi stranieri, che le inviavano, non solo dalla Svizzera e dalla Francia, più sospettabili, ma anche dalla stessa Germania, dalla Libia o dalla Tunisia.
Negli anni della Repubblica Sociale italiana era rimasta prevalentemente la distribuzione sul territorio. C’erano tipografie clandestine a Milano, mio nonno negli anni Trenta frequentava quella di Attilio Antelmi in via Santa Sofia 31, negli anni Quaranta quella di Angelo Asiani, in via Spinoza 4, e quella di un certo Caspani, ad Albiate vicino a Monza. La stampa arrivava e poi veniva distribuita con una rete molto ben organizzata, attraverso diffusori nelle fabbriche e negozianti. Un diffusore esperto era Domenico Fiorani, che pure fu qui ucciso quel 10 agosto 1944. Suo cugino Eugenio Sighinolfi veniva a Milano a raccogliere la stampa, senza incontrarsi generalmente con mio nonno, che la lasciava o presso la calzoleria Ferrarini di via Gran Sasso 7 o presso la cartoleria Perini di viale Lombardia 65. Eugenio la portava a Domenico, che a sua volta la diffondeva tra gli operai e gli impiegati delle acciaierie Falck di Sesto San Giovanni.
Mino Micheli e Giorgio Strehler
Un altro diffusore della stampa consegnata da mio nonno era Mino Micheli, parrucchiere per signora in Corso Buenos Aires, all’angolo con via Mercadante, che fu poi arrestato e deportato a Mauthausen, dove si salvò, lasciandoci importantissime testimonianze. Mio nonno, che era calvo, andava nella bottega di Mino Micheli a farsi fare la barba dal fratello di Mino, Onorino, che vi svolgeva il mestiere di barbiere da uomo. E lasciava opuscoli e volantini.
Da Mino Micheli andava anche, a tagliarsi i capelli, la madre del regista Giorgio Strehler e il parrucchiere poteva così mettere nelle tasche del ragazzino la propaganda di controinformazione che aveva ricevuto. Fu in queste circostanze che Strehler conobbe una verità diversa da quella che l’informazione ufficiale raccontava e che condizionò tutta la sua vita futura. Divenne infatti allora antifascista.
La memoria non deve diventare un mito
Questi particolari, minuti, sono importanti, perché hanno lo scopo di restituire autenticità a una memoria che non deve diventare un mito.
Oggi abbiamo una Costituzione che garantisce le libertà di pensiero, di opinione e di informazione. Ma non basta, non è sufficiente. Bisogna volere e sapere informarsi, senza arrendersi alla voce di chi urla più forte, di chi è più facilmente riconoscibile. Alla libertà di informazione, corrisponde sempre meno la volontà di conoscenza.
I nostri padri non si sono fermati a quel titolo del “Corriere della Sera”, che condannava i Quindici martiri come “sicari” e banditi. Si sono ribellati, non hanno accettato l’inganno e la Resistenza ha trovato forza nella volontà di comprendere le ragioni di questi uomini, che non hanno dato, ma hanno perso la vita per la nostra libertà.
Volevano vivere e ne avevano il diritto. È stato loro negato da quel potere perverso e corrotto, che ancora oggi qualcuno giustifica, se non addirittura vorrebbe assolvere. E noi non possiamo accettarlo.
La lezione dei 15 martiri
I martiri di Piazzale Loreto non vanno soltanto rispettati e commemorati, vanno ascoltati. Ed è per questo che chiedo al Comune di Milano, quando realizzerà il nuovo progetto urbanistico di questa piazza, di tenere conto delle loro voci, del loro insegnamento, che qui risuona da settantasette anni, se lo sappiamo ascoltare, che è stato una lezione di coerenza e di faticosa e lunga lotta per riconquistare la libertà di tutti. Sono loro che ci consentono oggi di combattere fuori e dentro il Parlamento la battaglia per i diritti civili.
Di fronte all’insorgere preoccupante di nuove forme di autoritarismi, intolleranze, razzismi, violenze, i martiri di Piazzale Loreto ci chiedono ogni giorno in modo ben chiaro di affermare senza esitazioni una ferma condanna.