Print Friendly, PDF & Email

Milano, 14 agosto 2019. Quattro anni fa, il 14 agosto 2015, moriva in Milano Gianfranco Maris, storico presidente dell’ANED e della Fondazione Memoria della Deportazione, luogo di conservazione di documenti, di studio e di ricerca, progetto alla cui attuazione Gianfranco Maris si dedicò dal 1990, nella convinzione che ANED dovesse, per la vocazione culturale che l’ha sempre caratterizzata, realizzare una fondazione per il futuro della memoria, che fosse produzione di cultura ed informazione.

La Fondazione Memoria della Deportazione vuole ricordare quest’anno il suo presidente riproponendo la sua introduzione dal titolo Coniugare la memoria e la storia al  Convegno Il Lager. Il ritorno della memoria, Università degli Studi di Verona, 6-7 aprile 1995 (da Gian Paolo Marchi e Giovanna Massariello Merzagora, Il Lager. Il ritorno della memoria. Atti del convegno internazionale, 6-7 aprile 1995, Università degli studi di Verona, Trieste, ANED/LINT, 1997, pp.VII-VIII):

 

Sono memoria la tradizione orale di vita e di esperienza.

Sono memoria le biografie.

Sono memoria Se questo è un uomo e La tregua e è memoria la trattazione ragionata della tematica autobiografica di Se questo è un uomo e de La Tregua.

Sono memoria tutte le biografie di tutti i testimoni della deportazione e dell’annientamento nei campi nazisti della morte.

E poiché la memoria è storia, non vi è dubbio che l’insieme di tutte le testimonianze, semplici o elaborate, immediate o ragionate, l’insieme di tutte le memorie, cioè, sono storia.

Con ciò non pretendo certamente di risolvere, in modo semplicistico, le tensioni irrisolte del rapporto storia-memoria, stabilendo una equazione di eguaglianza, che scaturirebbe da un lato meramente quantitativo, tra tante memorie messe insieme e la storia.

Le memorie, una o mille, rimangono momenti personali dei singoli deportati e possono essere parte di una esperienza collettiva della comunità italiana negli anni della seconda guerra mondiale, ma per divenire storia, contro la quale si infrangono tutti gli strumentali revisionismi storico-politici via via posti in essere dai negatori della verità, hanno bisogno di entrare a far parte di un complesso sistematico di ricerche e di studi e di seminari e di convegni, dai quali esca che cosa veramente e istituzionalmente, soprattutto, fu la deportazione nella strategia statuale del terzo Reich e, dopo l’8 settembre 1943, della Repubblica fascista di Salò.

Non si tratta soltanto di chiarire il ruolo della memoria, in sé e per sé, nel discorso storico, di cui parlano Bravo e Jalla e di cui tratta lo stesso Collotti; non si tratta di utilizzare tutte le testimonianze, tutte le verità, tutti gli squarci di vissuto, per trarne una rappresentazione d’insieme; si tratta di coniugare la memoria con la ricerca storica, documentale, amministrativa, giudiziaria, legislativa, culturale e istituzionale sullo stato nazista, per ricavarne una visione esatta di ciò che rappresentò, di ciò che perseguì la deportazione, non solo per i deportati e per gli annientati, ma anche per i “deportatori”, per gli annientatori. Solo l’insieme dei due momenti costruirà quel momento di accusa contro il fenomeno concentrazionario, che caratterizzò il fascismo e il nazismo, contro il quale si infrangerà qualsiasi strumentale disegno e impegno revisionista.

Sappiamo delle deportazioni degli ebrei, degli zingari, degli omosessuali, dei testimoni di Geova, dei diversi perché diversi, degli oppositori, degli avversari politici, dei resistenti, degli operai, come schiavi perché operai.

Solo quando compiutamente collocheremo tutto ciò nel quadro della cultura tedesca, così come strutturata dal rogo dei libri in poi, nel quadro delle procedure per la produzione delle leggi naziste, nel quadro dei processi formativi delle scelte politiche, giuridiche, giurisdizionali, amministrative naziste, nel quadro della concezione della strategia di una guerra globale di annientamento, quale fu quella che i nazisti scatenarono in Europa, solo quando avremo compiuto questa sistemazione avremo trasformato la memoria in conoscenza. La conoscenza, cioè, che consente agli uomini di oggi e di domani e dei tempi futuri di utilizzare la memoria per le proprie scelte di condotta, là dove occorra, perché non limitata ai “fatti”, ma collegata ai processi economici, giuridici, culturali, sociali e politici che quei fatti hanno preparato e determinato.

Questa è la conoscenza, non puramente emotiva, ma anche razionale, che è utile agli uomini.

Ecco perché ritengo che un impegno quale quello che è stato affrontato nel convegno internazionale “Il Lager: il ritorno della memoria”, tenuto all’Università degli Studi di Verona nei giorni 6-7 aprile 1995, sia altamente prezioso e sia da annoverare tra i più concreti contributi per una sistematica e compiuta storia della deportazione.

Non è compito mio percorrere, sia pure per larga sintesi, tutti i contributi del convegno, di cui semmai, devo indicare, come faccio, il significato complessivo, che è espresso non solo dalla comune funzione storica dei singoli contributi, ma anche dal valore culturale di ciascuno di essi, proprio per la interdisciplinarietà della riflessione e della ricerca.

Sicuramente il convegno di Verona indica autorevolmente una strada da percorrere.

Gianfranco Maris