Milano, 29 gennaio 2019. Si riporta l’intervento di Floriana Maris, Presidente della Fondazione Memoria della Deportazione, al Comune di Milano, in occasione delle celebrazioni ufficiali per il Giorno della Memoria.
L’intervento
Buongiorno,
benvenuti alla cerimonia ufficiale del XIX “Giorno della Memoria” istituito con legge il 20.07.00 in ricordo della deportazione razziale, politica e militare.
Saluto il dottor Giuseppe Sala, Sindaco di Milano, città medaglia d’oro al valore militare per la guerra di liberazione;
l’Ing. Carlo Borghetti, vicepresidente del Consiglio Regionale,
le autorità, le istituzioni, le scuole, gli alunni, a cui “in modo particolare” sono dedicate queste “cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione”,
saluto tutti i presenti.
Intervengo e coordino a nome della Fondazione Memoria della Deportazione, biblioteca archivio Pina e Aldo Ravelli, centro studi e documentazione sulla Resistenza e sulla deportazione nei lager nazisti, costituita nel 1999 per dare un “futuro alla memoria”, perché la memoria, coniugata alla ricerca storica, scientifica e documentale della lotta contro il fascismo ed il nazismo, della Resistenza, della deportazione, vivesse al di là del tempo della vita dell’ultimo degli ex deportati; una “Fondazione per il futuro”, per diffondere gli ideali della cultura antifascista e della Costituzione, quelli, cioè, della attività politica come servizio verso il Paese, della uguaglianza tra gli uomini, della tolleranza pluralista del pensiero, della solidarietà.
L’esigenza di dare un “futuro alla memoria” è stata ed è sentita anche nel mondo ebraico: David Bidussa, scrittore, giornalista, storico, “storico sociale delle idee”, nel suo saggio del 2009 “Dopo l’ultimo testimone”, scrive: “quando rimarremo soli a raccontare l’orrore della shoah, non basterà dire MAI PIU’, né rifugiarsi tra le convenzioni della storia”.
Già in questa edizione della cerimonia del Giorno della Memoria non abbiamo più presenti i testimoni diretti di tutti gli orrori, dolori, terrori, crudeltà, sevizie, disumanità innominate e innominabili di quel mondo fuori dal mondo che furono i lager nazisti.
Quest’anno ascolteremo le testimonianze di figli di deportati:
Giuliano Banfi, figlio di Gianluigi Banfi detto “Giangio”, deceduto in seguito alle percosse, alle sevizie, al lavoro schiavo, al freddo e alla fame, il 10.04.1944 nel Revier di Gusen – Mauthausen.
Gadi Schoenheit, figlio di Franco Schoenheit, deportato all’età di 16 anni a Buchenwald, sopravvissuto alle innumerevoli crudeltà del lager, ritornato in Italia, dopo la liberazione del campo, il 27.05.1945.
L’anno scorso era qui con noi, a questa cerimonia, Venanzio Gibillini, antifascista, oppositore politico, deportato nei campi di sterminio di Flossenburg e di Dachau, testimone appassionato e lucido della Resistenza e dell’esperienza nel lager.
Si è spento il 16 gennaio scorso all’età di 94 anni.
Noi tutti lo ricordiamo con infinito affetto e chiedo a tutti un minuto di silenzio in sua memoria.
La locandina
La locandina che quest’anno promuove la cerimonia del Giorno della Memoria vede intrecci di filo spinato su uno sfondo nero e muri rosso cupo, il buio dell’oblio della storia da cui nascono i mostri ed il sangue della sofferenza e dell’orrore.
Poi la scritta, grande, MAI PIU’ ed in fila, una sotto l’altra, le parole: reticolati, fili spinati, porti e frontiere chiusi, fascismi, guerre, discriminazioni, razzismo.
Con questo manifesto si è voluto dare al ricordo, alla memoria, la forza dell’attualità, una memoria come rivisitazione del passato di sofferenza ed ingiustizia, non solo cronaca del dolore ma strumento di conoscenza, di lettura e di interpretazione del presente da cui nasce la coscienza che impegna gli uomini sulle strade della giustizia.
Memoria per trovare le ragioni e le condizioni per qualsiasi scelta di vita ma che possa essere veramente libera, senza condizionamenti.
Memoria come cosa viva
La memoria ha valore soltanto se consente di rielaborare concettualmente i processi che nel passato hanno portato ad un risultato di morte, di miseria, se consolida una conoscenza indelebile di ciò che hanno veramente rappresentato, in Europa, il fascismo ed il nazismo nel secolo degli stermini, con il loro disegno di un “ordine nuovo” basato sul razzismo come ideologia e sulla violenza criminale come sistema di governo.
La memoria, dunque, come “valore di prevenzione”.
Il messaggio della memoria dice oggi che presupposto di qualunque pace sono i diritti fondamentali dell’uomo: il riconoscimento e il rispetto delle diversità, l’accoglienza, l’integrazione, il “diritto al futuro” (Papa Francesco, giornata mondiale della gioventù).
Il nodo epocale del trasferimento di dimensioni bibliche di popolazioni imposto dal bisogno, dalla miseria, dalla fame, dalle guerre deve essere affrontato attraverso diritti e doveri garantiti a tutti, nella sicurezza personale e collettiva e nella certezza che tutti conseguiranno il giusto soddisfacimento.
La risposta populista, xenofoba, sull’onda di una paura irrazionale, diffusa in ampi strati sociali, del timore di perdere, a seguito delle immigrazioni, il benessere e l’identità, a prescindere dalla sua inumanità, innesca soltanto gravi e nefasti conflitti sociali.
È di pochi giorni fa la notizia dello sgombero dei migranti di Castelnuovo di Porto. Così ha reagito un uomo di cultura, Andrea Camilleri:
“ci tengo, quale cittadino italiano, a dire questa frase: “non in nome mio”, mi spiego meglio: lo sgombero avvenuto a Castelnuovo di Porto di una comunità di 540 migranti che erano riusciti perfettamente a integrarsi nella società italiana , con i bambini che da due anni frequentano le scuole italiane, con gente che lavorava e pagava le tasse in Italia, questo sgombero è persecutorio, cioè a dire: attenzione stiamo entrando assolutamente in un regime di violenza, di prepotenza, non solo di difesa contro l’emigrazione…
Questa è una ossessione, rendetevene conto. “Non in nome mio”.
Io mi rifiuto di essere un cittadino italiano complice di questa nazista volgarità”.
Anche Liliana Segre, nella sua testimonianza al Teatro alla Scala, il 22 gennaio scorso, ha ricordato cosa vuol dire essere clandestini: sono stata – ha detto – una clandestina con documenti falsi, ho cercato di varcare con mio padre la frontiera svizzera, un ligio gendarme ci ha respinti dicendo che in Italia non si correvano pericoli: si sono aperte le porte di Auschwitz.
[Sono seguite le TESTIMONIANZE DI Giuliano Banfi, vicepresidente dell’ANED di Milano, figlio di Gianluigi Banfi e Julia Bertolotti; Gadi Schoenheit, vice assessore alla cultura della Comunità Ebraica di Milano e consigliere della Fondazione Memoriale della Shoah].
Conclusioni
Siamo nel centenario della nascita di Primo Levi, concludo, pertanto, questo nostro incontro con sue parole tratte da “Se questo è un uomo”:
“A molti individui o popoli può accadere di ritenere, più o meno consapevolmente, che “ogni” straniero è nemico”. Per lo più questa convinzione giace in fondo agli animi, come una infezione latente; si manifesta solo in atti saltuari e incoordinati, e non sta all’origine di un sistema di pensiero. Ma quando avviene, quando il dogma inespresso diventa premessa maggiore di un sillogismo, allora, al termine della catena, sta il lager”.