Milano, 27 settembre 2019. Con riferimento alla Risoluzione del Parlamento europeo del 19 settembre 2019 sull’importanza della memoria europea per il futuro dell’Europa, la Fondazione Memoria della Deportazione ne condivide l’attribuzione di centralità assegnata alla discussione sui totalitarismi nell’Europa del Novecento e con essa la loro ferma condanna.
Ritiene altresì inadeguati, semplificatori e banalizzanti i termini nei quali tale mozione si esprime, a partire dal riconoscere la seconda guerra mondiale come «diretta conseguenza del patto Molotov-Ribbentropp, seguito dal “trattato di amicizia e di frontiera” nazi-sovietico del 28 settembre 1939», che non tiene nel dovuto conto le strategie politiche naziste volte all’espansionismo e all’egemonia militare sull’Europa, e, soprattutto, all’instaurazione di un Nuovo ordine delle potenze dell’Asse nelle relazioni tra stati e popoli fondati su principi di dominazione e di sfruttamento che si manifestarono già, dopo l’annessione dell’Austria, con le ambizioni tedesche sul territorio dei Sudeti.
Né si può sottovalutare l’atteggiamento passivo col quale Francia e Regno Unito cedevano all’ambizione imperialista hitleriana, già sostenuta dall’avvallo dell’Italia fascista, sancita col patto di Monaco del 30 settembre 1938, sul quale Winston Churchill ebbe modo di dichiarare con preveggenza politica: «Potevano scegliere fra il disonore e la guerra: hanno scelto il disonore e avranno la guerra».
Ed era il 1938. L’anno in Italia della promulgazione delle leggi razziali da parte del regime fascista al potere dal 1922.
Altrettanto banalizzante è l’equiparazione tra nazismo e comunismo, che non riconosce esperienze storiche sostenute da ragioni opposte, da culture e radici confliggenti che trasmettono memorie diverse con le quali fascismo, nazismo e comunismo si sono manifestati nei diversi Paesi europei. Non riconoscere questa complessità e diversità, non solo di punti di vista, ma anche di realtà storiche, non aiuta la ricerca di valori condivisi su cui consolidare quell’identità europea di pace e di democrazia, per la quale decine di migliaia di partigiani e di deportati hanno dato la vita.
Fu questa l’idea di Europa auspicata e condivisa da tutti i deportati sopravvissuti al lager di Mauthausen, che il 16 maggio 1945 sottoscrissero un giuramento per il quale «la pace e la libertà sono la garanzia della felicità dei popoli e l’edificazione del mondo su nuove basi di giustizia sociale e nazionale è la sola via per la collaborazione pacifica fra gli stati». Aggiungevano inoltre che dopo aver ottenuto la libertà sarebbe stato loro compito «conservare il ricordo della solidarietà internazionale del campo e ricavarne il seguente insegnamento: Percorreremo una strada comune, la strada della reciproca comprensione, la strada della collaborazione per l’edificazione di un mondo nuovo, libero e giusto per tutti».
Questo vorremmo che fosse lo spirito della Risoluzione del Parlamento europeo.
Spiegava Primo Levi nel 1976, paragonando i gulag sovietici ai Lager nazisti, che «i Lager tedeschi costituiscono qualcosa di unico nella pur sanguinosa storia dell’umanità: all’antico scopo di eliminare o terrificare gli avversari politici, affiancavano uno scopo moderno e mostruoso, quello di cancellare dal mondo interi popoli e culture. […] Almeno per quanto riguardava gli ebrei e gli zingari, nei Lager tedeschi la strage era pressoché totale: non si fermava neppure davanti ai bambini, che furono uccisi nelle camere a gas a centinaia di migliaia, cosa unica fra tutte le atrocità della storia umana».
Pensiamo che ogni accostamento di altri e distinti fatti, pur ugualmente deprecabili, e da condannarsi con ogni risolutezza e senza alcuna ambiguità, alla logica di sterminio perpetrata dalla Germania nazista e sostenuta dall’Italia fascista, sottenda il rischio di pericolose forme di semplificazione storica e di conseguente negazionismo.
Avvertiamo infine in tutto questo, non possiamo dire nelle intenzioni, ma certamente nelle possibili conseguenze, il pericolo latente dell’affermarsi di volontà più o meno esplicite di piegare la storia (che dovrà essere inserita nei programmi didattici e nei libri di testo di tutte le scuole UE) a interessi contingenti e strumentali, per ridefinire i rapporti di forze tra l’Europa e il mondo.
Per tutti questi motivi, la Fondazione Memoria della Deportazione, sollecitando il Parlamento europeo a un ripensamento sui modi e sui termini nei quali è stata scritta la risoluzione del 19 settembre, intende promuovere un’opportuna riflessione storica su questi temi, nella consapevolezza del nesso imprescindibile tra ragioni storiche, conoscenze e orientamenti politici nel mondo di oggi.
La Presidente
Floriana Maris