Il giorno 27 gennaio ore 17.00 a Torino presso il Polo del ’900 – Sala conferenze (Palazzo San Celso, Corso Valdocco 4/a) la Fondazione Memoria della Deportazione parteciperà all’incontro Nuove strade per conoscere Auschwitz. Ricordando Italo Tibaldi, che fu tra i pionieri della ricerca sulla deportazione italiana, e del quale la Fondazione possiede gran parte dell’Archivio in 150 buste, risorsa fondamentale per avviare oggi ogni ricerca scientifica sul tema.
Così ha fatto Victoria Musiołek, che durante l’incontro presenterà i risultati della sua ricerca. L’evento è organizzato da ANED-Sezione di Torino, in collaborazione con Fondazione Memoria della Deportazione; Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea ‘Giorgio Agosti’, Museo Diffuso della Resistenza, con il sostegno del Consiglio Regionale del Piemonte – Comitato Resistenza Costituzione. La Fondazione sarà presente con la presidente Floriana Maris e con l’archivista Sonia Gliera, che ha riordinato il Fondo Tibaldi.
Così Sonia Gliera ricostruisce i momenti fondamentali della biografia di Italo Tibaldi (1927-2010):
Italo Tibaldi
“Italo Tibaldi nasce a Pinerolo (Torino) il 16 maggio 1927 (1). Dopo l’8 settembre 1943, ancora studente, aderisce alla Resistenza militando come partigiano nelle formazioni di Giustizia e libertà, nella II Divisione alpina, insieme al padre Francesco, che è ufficiale di carriera, operando in val Maira (Cuneese). Il 9 gennaio 1944, mentre è in missione a Torino, a seguito di una delazione viene arrestato dalle SS e interrogato dalla Sicherheitspolizei all’Albergo nazionale per poi essere condotto al carcere Le nuove di Torino.
A seguito di un’azione dei partigiani contro ufficiali tedeschi le SS deportano, come rappresaglia, alcuni prigionieri, tra cui lo stesso Tibaldi, che parte il 13 gennaio 1944 (trasporto 18) con altre cinquanta persone per il campo di concentramento di Mauthausen, dove giunge il 14 gennaio e dove gli viene assegnato il numero di matricola 42307 e il triangolo rosso di deportato politico.
Due settimane dopo Tibaldi viene trasferito nel Subkommando di Ebensee, una vera e propria anticamera del crematorio, dove viene adibito alla costruzione di gallerie per il deposito di strutture missilistiche; qui rimane diciotto mesi fino alla liberazione del campo il 6 maggio 1945 da parte del 3° Cavalleria meccanizzata dell’armata statunitense, comandata dal capitano Timothy Brennan. I militari trovano il giovane Tibaldi ricoverato al revier per una grave malattia e per il deperimento.
Rientrato in Italia nel giugno 1945, viene ricoverato in ospedale militare dove gli viene riscontrata una Tbc polmonare bilaterale; pesa 36 chilogrammi. Per questa infermità sarà riconosciuto invalido di guerra. Nello stesso 1945 si unisce ad altri deportati superstiti per fondare a Torino l’Associazione nazionale ex deportati politici in Germania fra gli ex zebrati dei campi nazisti di eliminazione, sodalizio originario della futura Aned. Della sezione di Torino diventa in seguito vicepresidente, ricoprendo la carica per diversi anni.
Nel 1949 viene assunto dal Comune di Torino, presso l’ufficio del Gabinetto del sindaco. Riesce a riprendere gli studi e a diplomarsi geometra nel 1955, iscrivendosi poi alla Facoltà di economia e commercio, senza, però, conseguire la laurea. Nello stesso 1955 inizia a dedicarsi alla ritrovamento dei suoi compagni di deportazione, estendendo presto la ricerca a tutti i deportati politici e razziali italiani nei Lager nazisti. Sempre in quegli anni, partecipa, anche, alla realizzazione del monumento italiano ai caduti nel campo di concentramento di Mauthausen, inaugurato il 2 luglio 1955. Dopo il diploma, in Comune passa all’ufficio tecnico dei lavori pubblici per seguire la ricostruzione del teatro regio. Nel 1970 è chiamato alla Regione Piemonte, come capo Gabinetto del primo presidente del Consiglio regionale, poi alla Giunta, diventando capo servizio dell’Ufficio di presidenza e partecipando alla stesura dello statuto regionale.
Sempre nel 1970 partecipa all’assemblea generale costituente del Comitato internazionale di Mauthausen, di cui diventa in seguito vicepresidente e delegato italiano in numerosi avvenimenti internazionali. È tra i propugnatori della legge regionale 2 n. 7 del 1976 con cui viene istituito il Comitato della Regione Piemonte per l’affermazione dei valori della Resistenza e dei principi della Costituzione repubblicana. Nel 1980, per ragioni di salute, lascia Torino e si trasferisce a Vico Canavese (Torino) in Valchiusella.
In quegli anni continua la sua fattiva collaborazione con l’Aned sia di Torino che nazionale, dove viene chiamato a far parte della commissione vitalizio, per occuparsi dell’esame delle domande inoltrate dagli ex deportati e dai loro familiari ai sensi della legge n. 791 del 18 novembre 1980. Proprio in ragione di questo suo impegno, nel 1990 l’Aned nazionale gli affida l’incarico di sollecitare l’iter del disegno di legge sulla reversibilità del vitalizio ai familiari, poi approvata nel 1994 (legge 29 gennaio 1994 n. 94). Il suo impegno politico, nelle fila del Partito socialista italiano, continua anche a Vico Canavese dove viene eletto sindaco nell’agosto 1983. Nell’ottobre 1985 è nominato presidente della Comunità montana Valchiusella.
La sua vita privata continua intanto a essere dedicata alla ricerca e allo studio della deportazione, nello sforzo di ricostruire il numero e i componenti dei trasporti dall’Italia e dai protettorati italiani ai Lager nazisti. I frutti delle sue ricerche sono pubblicati in alcune opere tra cui Compagni di viaggio (1994), La geografia della deportazione italiana in Lager, totalitarismi, modernità. Identità e storia del mondo concentrazionario (2002) e Il calendario della deportazione negli anni 1943 – 1944 – 1945 (2002). Numerosi sono i suoi interventi a convegni e seminari; molte le testimonianze come ex deportato. Dagli anni Novanta fino alla fine continua la sua attività per l’Aned nazionale, nell’ufficio di presidenza, come tesoriere e vicepresidente; è nella commissione Aned ricerche, dove continua la sua opera di ricerca e di compilazione delle liste sostenuto e finanziato dall’associazione, che acquisirà poi gli elenchi. Nel 1999 fa parte anche dei promotori della Fondazione Memoria della deportazione.
Per il suo lavoro di ricerca e per il suo impegno, riceve nel tempo numerosi riconoscimenti: nel 1986 viene nominato Commendatore della Repubblica italiana; nel 1999 il presidente della Federazione austriaca gli conferisce la “Grosse Ehrenzeichen” per benemerenze verso la Repubblica austriaca; nel 2004 il presidente della Repubblica Ciampi gli concede l’onorificenza di Grand’ufficiale della Repubblica italiana; nel 2006 riceve la laurea honoris causa in storia contemporanea da parte della Western States University. “Inoltre, è stato il primo cittadino italiano a ricevere l’importante onorificenza della ‘Croce di Auschwitz’, concessa dal Consiglio di Stato della Polonia, consegnatagli a Varsavia nel maggio 1988”.
Dal 2002 si fanno più intensi i rapporti di Tibaldi con il Dipartimento di storia dell’Università di Torino che nel 2003 chiede la consultazione del suo database, “ritenuto imprescindibile punto di partenza per il gruppo di ricercatori impegnati nella realizzazione scientifica della storia della deportazione nei lager nazisti”. L’opera viene pubblicata nel 2009 con il titolo Il libro dei deportati. Il 17 gennaio 2009 una copia dell’opera viene consegnata dallo stesso Tibaldi al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che si congratula con Tibaldi per il suo costante impegno etico, civile e sociale. Tibaldi muore a Ivrea il 13 ottobre 2010″.
Discorso introduttivo di Floriana Maris
Ho imparato a conoscere Italo Tibaldi nelle commemorazioni a Mauthausen per la liberazione del campo.
Vi ha sempre partecipato, sino alla fine dei suoi giorni, come del resto mio padre.
Un atto di rispetto, di ricordo verso quei compagni di viaggio che non erano tornati, quei compagni che dal lager non erano usciti se non per il camino, come un fiore su una tomba. Ma questo riguarda la sfera personale dei sentimenti.
Il ricordo, sia per Italo che per mio padre, doveva tradursi in memoria storica, in conoscenza, in consapevolezza: “perché soltanto nella consapevolezza dei fatti storici nasce la memoria che ha un significato, un valore per il futuro dei popoli”.
La memoria in funzione di ammonimento e di critica e di pietra di paragone per leggere, per capire il nostro tempo ed il nostro futuro.
La memoria come strumento di analisi del presente per compiere scelte libere.
La memoria come il “presente del passato”.
La memoria come intelligenza di vita, perché il crimine è ripetibile, ammoniva Primo Levi.
La memoria come dimensione più autenticamente oppositiva dell’oblio.
Da questa esigenza, da questo imperativo morale, nasce la ricerca curata con grande intelligenza e costanza da Italo su tutti i trasporti dei deportati che partirono dall’Italia per i campi di sterminio nazisti in Germania, Polonia e negli altri paesi occupati.
Ecco “Compagni di viaggio” pubblicato nel 1994 sui trasporti tra il settembre 1943 e il marzo 1945. Ne aveva individuato 123 in più di 40 anni di ricerche.
Italo iniziò il suo lavoro nel 1950 per scoprire i nomi dei suoi “compagni di viaggio”, partiti con lui da Torino Porta Nuova il 13 gennaio 1944, con destinazione Mauthausen, per sapere chi erano, la storia di ognuno ed il destino di tutti, dei vivi, come dei morti.
E poi “A Futura Memoria” II edizione di “Compagni di viaggio” in cui confluiscono i risultati di altri 13 anni di indefesse ricerche, condotte con metodo scientifico, realizzando collegamenti con tutte le organizzazioni internazionali di ex deportati oltre che con i musei dei grandi lager nazisti e con tutti coloro che si sono dedicati ad analoghe ricerche, scoprendo storie di vita, realizzando così elenchi sempre più ampi ed approfonditi, integrandoli e aggiornandoli incessantemente.
Nel nuovo documento di memoria il numero dei trasporti sale a 288, con una nuova numerazione degli stessi.
“La nostra è una generazione senza congedo” scriveva Italo Tibaldi testimoniando la passione che aveva profuso in quella che è stata per lui una vera e propria missione, dare una identità agli oltre 40.000 Italiani deportati politici e razziali nei campi di eliminazione nazisti, ricordando che, come scrive nella appassionata premessa a “Compagni di viaggio” “dentro ogni numero di matricola vi è stata una vita”.
Il suo lavoro ha costituito e costituisce un punto di riferimento ineludibile per qualsiasi ricerca sulle deportazioni dall’Italia ed è stato la base della ricerca fatta per conto dell’ANED dall’Università di Torino, tramite i professori Brunello Mantelli e Nicola Tranfaglia: “Il libro dei deportati”, pubblicato nel 2009.
Il Comitato storico scientifico della Fondazione Memoria della Deportazione ha suggerito alla Fondazione nell’ultima sua riunione di realizzare un progetto per realizzare “l’anagrafe dei deportati italiani” partendo proprio dal prezioso lavoro di Tibaldi.
Nel consiglio di amministrazione del 14 gennaio scorso la Fondazione Memoria della Deportazione ha deliberato di realizzare questo progetto ed ANED, attraverso il suo rappresentante in seno al cda, ha detto di volervi partecipare.
La ricerca di Italo Tibaldi è stata posta anche alla base della ricerca che l’ANED di Sesto San Giovanni e di Torino stanno conducendo per individuare i nominativi dei deportati politici uccisi ad Auschwitz e che verranno iscritti nel nuovo Memoriale in allestimento al blocco 21, nella stanza dei nomi.
Come concludere questo mio breve ricordo di Italo, lo vedo ancora in quell’alberghetto sul Danubio insieme con i ragazzi delle scuole che accompagnava a Mauthausen, non solo un antesignano della ricerca storica dei fatti di deportazione, ma un testimone della deportazione che ha sempre sentito il dovere etico e morale della testimonianza da trasmettere ai giovani insieme ai dati delle sue ricerche perché la memoria dell’offesa all’umanità non venga mai meno in nessun tempo, in nessuna generazione.
Vorrei ricordarlo con le parole di mio padre per il suo ottantesimo compleanno:
“Carissimo Italo,
dunque, compiendo Tu oggi, 16 maggio 2007, 80 anni, nel gennaio del 1944, quando hai varcato il cancello di Mauthausen, ne avevi soltanto poco più di 16.
Un ragazzo !
Che mostrò di sapere scegliere con coraggio, in tempi difficilissimi, la via per difendere la libertà del nostro Paese e, con essa, i principi fondamentali della dignità umana di tutti gli uomini e di tutti i popoli, nella pace, nella solidarietà e nella giustizia.
Il Tuo cuore sicuramente è ancora quello, perché le rughe, anche loro, per la verità, poche, si sono soffermate soltanto sul Tuo corpo.
Le compagne ed i compagni, che Ti hanno conosciuto, Ti amano e Ti stimano per tutto questo, ma, ancora di più, Ti vogliono bene per tutto ciò che hai saputo fare ed hai fatto con le Tue ricerche per l’ANED, per la Fondazione, per la storia d’Italia e di Europa.
E non è finita, lo so, perché Tu continuerai a lavorare per tutti noi e per la memoria della nostra vita.
E’, questo, nel riconoscimento del Tuo passato e del suo valore, il nostro più caro augurio per tutti e i tanti giorni che verranno per Te.
Insieme a tutte le compagne ed a tutti i compagni dell’ANED e della Fondazione Ti abbraccio con grande affetto.
Gianfranco Maris”