A Cracovia, presso l’Istituto italiano di cultura, via Grodzka 49, una mostra sugli Internati Militari Italiani, 600.000 volte no, presenta alcune rare fotografie del campo di Przemyśl, conservate nel Fondo Pirola della Fondazione Memoria della Deportazione. La mostra sarà esposta dal 26 gennaio al 26 febbraio 2018 e poi verrà riproposta in altre città della Polonia.
Siamo lieti di aver collaborato alla realizzazione di questa importante esposizione, volta a far conoscere in Europa la memoria dei nostri seicentomila soldati che dissero no alla Repubblica Sociale Italiana di Mussolini.
Il contributo rientra in un percorso di iniziative della Fondazione volto alla ricerca e alla conservazione della memoria dei nostri internati militari.
Diciamo ancora una volta grazie alla vedova di Felice Pirola Renata Magini e alla figlia Tiziana, che quest’anno hanno donato alla Fondazione l’intera biblioteca e la parte mancante dei materiali d’archivio.
Fondo Pirola
Il fondo Pirola è stato donato dalla famiglia alla Fondazione Memoria della Deportazione tra 2003 e 2004 e contiene atti raccolti o prodotti da Felice Pirola durante le sue ricerche.
Il riordino e l’inventariazione della prima parte del Fondo sono stati curati da Sonia Gliera. Quantità: buste 28, fascicoli 127. Estremi cronologici: 1839; 1926 – 2000.
Nel luglio 2017 il Fondo si è arricchito con una successiva donazione con un Secondo versamento di tredici scatole, che risulta essere omogeneo a quello precedente ed è ancora in corso di riordino e inventariazione.
Nel corso di una decennale attività di ricerca personale, sia per collezionismo sia per la preparazione di mostre e di articoli, Felice Pirola si è dedicato alla raccolta di documenti e di missive di internati militari, nonché di materiale filatelico, sempre legato all’internamento e alla deportazione.
Consistenza del Fondo Pirola
Il fondo si compone di raccolte di documenti, estratti da pubblicazioni, lettere, articoli di periodico, elenchi e studi sulla deportazione, sull’internamento, sui campi di concentramento e sulle singole persone coinvolte.
Di particolare interesse e rarità è la documentazione sugli Internati Militari Italiani (IMI); non mancano atti sui campi in Italia, ex Jugoslavia, Francia e Germania, sui campi per il lavoro coatto, ma anche sui più noti campi di concentramento.
Il materiale si presenta, in genere, organizzato per argomenti o per singoli campi. È presente un’accurata raccolta iconografica sui lager e sugli Stalag con fotografie, illustrazioni e fotocopie di piantine di campi, anche poco studiati. Una preziosa raccolta di circa tremila lettere originali inviate dai campi militari da prigionieri italiani, collezionata nel tempo da Pirola, è stata oggetto di studi specifici e di pubblicazioni. Sono sporadici gli atti di carattere personale.
Felice Pirola
Felice Pirola, nato a Lissone (MI) il 16 febbraio 1923 e morto a Milano nel 2000, di professione meccanico tornitore di apparecchi di precisione, nel 1942 fu richiamato alle armi e prestò servizio nel Genio militare, come telegrafista, prima a Pescia (Pistoia) e poi a Casale Monferrato (Alessandria).
Nell’inverno 1942/1943 fu inviato nella zona operativa di Grasse, sulle Alpi marittime francesi, nella 4a Armata 1° Corpo d’armata 39a Compagnia telegrafisti (2° Reggimento Genio Torino).
Prigioniero dei tedeschi
Fatto prigioniero dei tedeschi dopo l’armistizio, il 10 settembre 1943, e imprigionato nella caserma di Grasse, fu caricato su un carro bestiame per essere trasportato in Germania nel campo di internamento per prigionieri di guerra di Limburg (Stammlager XII A).
Dopo un periodo di lavoro coatto presso una fabbrica di proiettili e in una di lastre di vetro, alla fine del novembre 1943 fu trasferito a Ludwigshafen Rein.
Qui fu costretto a compiere lavori di fatica, anche come garzone, nella fabbrica della I. G. Farben, dove partecipò ad azioni di sabotaggio, prima singolarmente e poi in un gruppo di resistenza organizzata con compagni russi e polacchi. Il suo nome di battaglia era Armand.
Tale attività gli costò l’arresto e brutali interrogatori nel penitenziario di Manheim da parte della Gestapo. Ne seguì la prigione in campi speciali SS come deportato politico e lo sfruttamento per lavori di fortificazione sulla linea di guerra Sigfrido in località diverse.
Il 1° gennaio 1945, mentre si trovava a Pirmasens, fuggì con altri prigionieri per più giorni fino a nuova cattura e all’invio ai carceri penitenziari della Gestapo di Frankfurt e poi di Bayreuth, dove sarebbe stato liberato a metà aprile del 1945 da truppe americane.
La liberazione
Ricoverato per due mesi all’ospedale di Bayreuth diretto dagli americani, si allontanò clandestinamente per rientrare in patria.
Pesava poco più di quaranta chili e in Italia le sue precarie condizioni di salute, causate dalla malnutrizione, dai maltrattamenti e dalle torture subite, lo costrinsero per due anni a continui ricoveri in ospedali e case di cura. Gli fu assegnata la pensione di guerra.
Nel dopoguerra si dedicò alla filatelia, divenendo un esperto e un collaboratore di riviste specializzate.