Mauthausen, 6 maggio 2018. Nel corso della cerimonia commemorativa tenutasi in memoria della liberazione del campo è intervenuta Floriana Maris, presidente della Fondazione Memoria della Deportazione e vice-presidente del CIM (Comitato Internazionale Mauthausen). Ne riportiamo per esteso il discorso:
Care compagne, cari compagni, amiche ed amici,
a tutti buona cerimonia in memoria della liberazione del campo!
Nel preparare il mio intervento mi sono posta una domanda.
A 73 anni dalla Liberazione del campo di sterminio di Mauthausen, campo in cui, a differenza di quello di Auschwitz nel quale si consumò il genocidio di un popolo, furono deportati gli oppositori politici, i combattenti per la libertà, i resistenti, gli operai che ebbero il coraggio e la forza di incrociare le braccia, in un’Italia occupata e straziata dai nazisti, violentata e umiliata dal fascismo, per chiedere pace e pane, è legittimo chiedersi se ed in quale misura siamo riusciti a trasmettere la consapevolezza dell’eredità lasciataci da coloro che qui consumarono la loro giovinezza se non la vita?
È legittimo chiedersi se siamo riuscisti a rendere chiaro a tutti, anche alla destra, cosa è stato veramente il fascismo con il suo carico di violenza, di sopraffazione di ogni libertà, di negazione di democrazia e di uguaglianza, alleato nella guerra criminale del nazismo scatenata contro tutti i popoli, guerra che è costata al mondo, tra il 1939 ed il 1945, non solo la distruzione di beni e risorse immensi, ma anche la perdita di ben 50 milioni di vite umane?
La consapevolezza della dimensione delittuosa di sterminio del fascismo e del nazismo dovrebbe essere patrimonio di tutti, sia della sinistra che della destra, perché, senza questa consapevolezza non ci può essere democrazia, non ci può essere una vera comunità.
La democrazia si deve basare su una responsabilità diffusa, la democrazia deve essere trasformazione della società verso traguardi di reale giustizia, di giustizia sociale, come indicato nel “giuramento” di Mauthausen al quale gli ex deportati di Mauthausen, Gusen, Ebensee ed altri sottocampi dei dintorni, all’indomani della liberazione affidarono le ragioni della loro deportazione e le speranze per il futuro.
La democrazia non può fondarsi su una presunta “pacificazione”, sulla retorica della memoria condivisa: non può essere condivisa la memoria di chi si è adoperato e ha combattuto per mantenere una feroce dittatura e chi, invece, ha lottato per la libertà e la costruzione di una società democratica.
La democrazia può e deve costruirsi su valutazioni storiche condivise che non violentino la realtà della storia, su autentici valori condivisi, e le istituzioni, la scuola per eccellenza, dovrebbero essere le fonti della formazione di valori e di ideali condivisi.
Nonostante in occasione del 70° della Liberazione il presidente Mattarella avesse chiarito che non sussiste alcuna possibilità, storica e politica, di porre sullo stesso piano fascismo e antifascismo, conniventi con il regime e oppositori, repubblichini e partigiani, assistiamo, forse mai come in passato, alla presenza nella vita politica, sociale e culturale di nuovi e vecchi gruppi della galassia nera: Casa Pound è interlocutore nei talk show televisivi e i suoi esponenti ce li siamo ritrovati in amministrazioni locali, oltre che candidati in seggi elettorali in sede locale e nazionale; l’amministrazione comunale di Todi, un tempo la “rossa”, ha ritirato il patrocinio all’ANPI per la manifestazione del 25 aprile perché “manifestazione di parte”, “divisiva”; ad Ascoli Piceno il vicepreside dell’Istituto Tecnico di Agraria su facebook ha fatto gli auguri di compleanno a Hitler; a Milano, il 29 aprile, in piazzale Loreto è stato reso omaggio a Benito Mussolini da 200 estremisti di destra, molti in divisa paramilitare, che con braccio teso hanno gridato “duce, duce”; per non parlare del vilipendio di monumenti della Resistenza e della Deportazione, delle aggressioni, minacce, pestaggi nei confronti soprattutto di migranti (esempio ne sono i fatti di Matera a cui timida è stata la risposta istituzionale).
L’assenza di autentici valori condivisi rendono un Paese privo di identità e dunque anche di futuro in un tempo decisamente votato all’incertezza e all’instabilità politica ed economica nel quale sempre più rassegnati gli Italiani guardano al futuro preoccupati da una crisi che li ha emarginati dai processi economici, dal lavoro che dava dignità sociale e mezzi di sostentamento, dalla partecipazione attiva alla vita sociale e politica del Paese, spingendo molti a guardare con simpatia a movimenti e idee antidemocratici.
Oggi ha ancora senso, in questo Paese senza rispetto per la propria storia, trovarci qui a ricordare lo sterminio nazista, il sacrificio di chi ha combattuto il fascismo ed il nazismo?
Sì, se questo ricordo non è vana e artificiosa celebrazione, sì, se questo ricordo non è solo pietas, cioè commozione, sentimento e dolore per le vittime, ma è memoria che sia conoscenza che ci stimoli alla vigilanza e all’azione, che sia insegnamento che ci dia gli strumenti per leggere, interpretare e capire il presente, scegliere, decidere, avere un futuro consapevole.
Serve studiare a fondo: analizzare la realtà attraverso la conoscenza e l’insegnamento del passato, individuare le responsabilità dei processi che hanno spinto verso una condizione di subalternità sociale ed economica non solo le classi più povere, ma anche fasce sempre più ampie della popolazione e dare risposte tangibili alle domande di diritti e di servizi universali, di sicurezza, di lavoro come strumento di crescita, di sviluppo, di ricchezza e soprattutto di emancipazione, inclusione, dignità recuperata.
La cultura ci salverà è stato detto.
Solo la cultura può aiutare a rinsaldare una società percepita da diversi anni come in crisi di valori ed ideali.
Hitler, come pure Mussolini, non sono stati l’antecedente assoluto, sono stati il prodotto oscuro della modernità: del nazionalismo, delle intolleranze, di interessi economici e politici ben precisi.
Oggi, che si riaffacciano in Italia ed in Europa episodi che ricordano le ombre del passato (la notte tra il 20 e 21 aprile, anniversario della nascita di Adolf Hitler, si è consumato appena fuori da KIEV, un pogrom in piena regola ad opera del famigerato gruppo neonazista ucraino S14 nei confronti di un campo ROM) rileggere ed imparare la storia che unisce passato e presente implica un impegno doveroso, quello di sottolineare il rifiuto di tutte quelle nefandezze di cui si sono fatti carico il fascismo ed il nazismo, prima e dopo l’8 settembre del 1943, dalle persecuzioni degli ebrei alla repressione dei diritti, al disconoscimento della dignità delle persone, alla negazione dell’uguaglianza tra i popoli.
Nel 1980, il 16 ottobre a Roma, il Presidente Nazionale dell’ANED, Gianfranco Maris, nella relazione politica di apertura del VIII congresso osservava:
“Dall’oblio della storia nascono i mostri e soltanto la fedeltà alla storia impegna gli uomini sulle strade della giustizia”
Con queste parole voglio onorare i nostri compagni caduti in questo campo.