Mauthausen, 7 maggio 2017 . Si pubblica il discorso di Floriana Maris, presidente della Fondazione Memoria della Deportazione e vice-presidente del Comitato Internazionale di Mauthausen, tenuto in occasione dell’anniversario della Liberazione del campo:
Floriana Maris
Discorso al monumento italiano 7 maggio 2017
Il 25 aprile abbiamo celebrato la festa della Liberazione, riconoscendoci negli ideali di quella lotta armata e politicamente unitaria combattuta contro il nazismo ed il fascismo per un’autentica democrazia.
Il 1° maggio abbiamo celebrato la festa del lavoro e mi ha fatto riflettere una fotografia di una manifestazione per il lavoro apparsa su “La Stampa”: donne, uomini, ragazze e ragazzi sfilavano con grandi cartelli che componevano la parola LAVORO Semplicemente LAVORO, senza alcuna rivendicazione, semplicemente la dignità del lavoro per essere uomini liberi. Ma è ammissibile questo, a 70 anni dalla proclamazione della nostra Costituzione che all’articolo 1, nel primo dei suoi “Principi Fondamentali”, recita che “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro” e all’articolo 4 “riconosce a tutti, tutti i cittadini il diritto al lavoro”?
Diritto, oggi, negato al 40% della popolazione italiana e nel mondo a milioni, milioni, milioni di individui che cercano riscatto con il lavoro.
L’Istat ha diffuso, pochi giorni fa, questi dati: la disoccupazione giovanile scende al 34,1%, di soli pochi punti centesimali, si registra, però, un innalzamento, un balzo della disoccupazione nella fascia over 50: lavoro perso e pensione irraggiungibile. L’indice generale di disoccupazione è, nel suo complesso, salito ancora.
Democrazia, lavoro, occupazione non sono gli unici temi che affliggono il nostro Paese e l’Europa.
C’è il dramma della migrazione.
Nessun profugo fugge senza soffrirne, tutti amiamo la nostra terra e la nostra casa, fuggono da condizioni esistenziali invivibili: fame, violenza, morte e sanno quelle donne e quegli uomini, quelle donne che affidano anche i loro bambini ai mercanti di morte, di affrontare un viaggio in cui molti, troppi, perderanno la vita prima di raggiungere la ricca Europa.
Ma mancano vie legali di fuga, il loro è un esilio forzato. E, come tutti noi, sono in balia di “grandi giochi” geopolitici ed economici che hanno militarmente devastato o desertificato le loro terre.
Aiutiamoli a casa loro, si dice, e che cosa facciamo? Forse finanziamo progetti per la loro crescita, forse portiamo loro tecnologie e know-how? No, vendiamo loro armi per fare più vasto quel deserto!
Da questa terribile realtà occorre partire.
Come ha detto Papa Bergoglio nel recente messaggio per la giornata mondiale della pace: “il secolo scorso è stato devastato da guerre mondiali micidiali, ha conosciuto la minaccia della guerra nucleare ed un gran numero di altri conflitti, mentre oggi purtroppo siamo alle prese con una terribile guerra mondiale a pezzi”: Siria, Afghanistan, Iraq, Libia, Africa.
Ed aggiungerei che oggi, purtroppo, assistiamo ad una preoccupante evoluzione dell’uso della forza da parte delle superpotenze che vi ricorrono senza imbarazzi.
Sul mondo tornano a soffiare venti di guerra.
Prima la Russia che annette la Crimea ucraina e finanzia un movimento di secessione dell’Ucraina orientale, oggi Donald Trump che invia una portaerei e due sommergibili nucleari verso le coste coreane dopo aver fatto annientare una base dell’aviazione militare di Bashar al Assad in Siria.
Il Presidente americano ha bombardato la Siria senza un mandato delle Nazioni Unite e le sue manovre al largo della Corea potrebbero scatenare una dinamica incontrollata.
Dopo Mosca anche Washington torna a ricorrere all’uso della forza come strumento politico senza alcun imbarazzo, in modo tranquillo.
Assistiamo ad un ritorno dei nazionalismi e delle destre estreme negli Stati Uniti, in Europa, in Asia.
Di fronte a questo scenario, alla gravità dei problemi nazionali ed internazionali ad una Unione Europea che si va disfacendo invece di raggiungere traguardi di maggiore unità, non solo monetaria, cosa può trasmetterci la memoria della deportazione?
I deportati politici di tutta Europa, non soltanto i deportati politici italiani, affidarono ad un giuramento la memoria che volevano fosse patrimonio culturale dell’umanità.
Il giuramento fatto dopo la liberazione del campo di Mauthausen, a metà maggio 1945 sulla piazza dell’appello, è un documento di rilevanza storica eccezionale che forse non abbiamo mai compreso e valorizzato fino in fondo.
Nel giuramento i deportati indicavano le ragioni storiche della loro deportazione, la lotta contro il fascismo, contro il nazismo e contro la prospettiva della creazione di un ordine nuovo europeo fondato sulla violenza, sulla sopraffazione, sull’annientamento dell’individuo, sulla ricchezza, sul privilegio, sulla supremazia di chi possedeva terre, fabbriche, finanza nei confronti di chi solo viveva lavorando.
I deportati proiettarono nel futuro la costruzione di una società democratica ed etica, di una società morale.
La nostra Costituzione raccoglie, come sintesi della grande lotta dei combattenti per la libertà, degli oppositori politici, degli operai che incrociarono le braccia di fronte all’occupante tedesco, quei valori: solidarietà fra i popoli, pacifica convivenza, rifiuto della guerra, costituzione di una società di uguali, diffusione dei diritti fondamentali delle donne e degli uomini a tutti i livelli, in tutte le città, in tutti i paesi.
Questa è la memoria che tutti i deportati ci hanno affidato.
Dalla consapevolezza di quei fatti storici nasce la conoscenza e l’intelligenza del presente, la comprensione, la lettura del presente che ci deve vedere avvertiti: “ATTENTI AGLI INIZI”, ha detto ieri a Ebensee l’autore austriaco Robert Menasse, “MAI DIMENTICARE”.
Memoria, dunque, come il presente del passato, memoria come conoscenza per tutti per essere liberi e costruire una società giusta, democratica, che consenta la partecipazione di tutti.
Ho letto recentemente che non furono i barbari a distruggere l’impero romano, ma il venir meno di quei valori sui quali si era retta quella società per secoli.
Il vuoto di valori è il sonno della ragione che genera mostri.
Questo è oggi il pericolo: il nostro vuoto di valori.
Cadute le ideologie – e questo forse è stato un bene – sono caduti anche gli ideali.
Gli ideali, i valori proclamati nel giuramento di Mauthausen debbono essere salvaguardati, sono i valori universali dell’umanità, costituiscono i diritti fondamentali dell’uomo, sulla base dei quali è nata l’Unione Europea.
L’idea di Europa – intuita nel 1938, a Ventotene da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi e Eugenio Colorni – nasce nei campi di concentramento e annientamento nazisti.
L’esperienza dei campi ha unito uomini diversi, di culture diverse, di lingue diverse, di nazionalità diverse che ci hanno lasciate dette “parole uguali”. Quelle parole debbono essere le ragioni del nostro impegno verso noi stessi e verso le generazioni future perché ci sia un futuro e per onorare il sacrificio di chi, in questo campo, ha bruciato la sua gioventù ed anche la vita per un mondo diverso, un mondo migliore, per la civiltà e la dignità dei popoli.