A tre mesi dalla scomparsa la Fondazione Memoria della Deportazione ricorda l’amico Giordano Quattri (16 maggio 1925-21 ottobre 2016), artefice del Memorial di Auschwitz, che è stato per oltre trent’anni l’emblema della memoria italiana nel campo di sterminio.
Siamo onorati di aver preservato una parte significativa delle sue carte, che tra maggio e giugno 2014, il prof. Massimo Castoldi è riuscito a ottenere come donazione. I materiali sono ora inventariati e consultabili presso il nostro Archivio.
In queste carte è la storia di un uomo, che per generosità, intuito, ingegno e si è dedicato per tutta la vita alla causa della memoria della Resistenza e della deportazione.
Più che meritato, dunque, il Diploma Accademico di Primo Livello Honoris Causa in Progettazione artistica per l’impresa che l’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano gli ha conferito il 27 gennaio 2014 «in quanto esecutore materiale di tutte le opere progettate dall’Architetto Lodovico Barbiano di Belgiojoso dello studio BBPR e dal Maestro Pupino Samonà per la realizzazione del Memorial in onore degli Italiani caduti nei campi di sterminio situato nel Blocco 21 di Auschwitz».
Il lavoro di Quattri
Scriveva Quattri il 12 maggio 2014:
«L’Aned ideò, progettò, realizzò, finanziò, e alla fine trasportò dall’Italia alla Polonia ed allestì il Memoriale. Vorrei illustrare come fu fatto il trasferimento dei 23 teli. Ogni telo, alto metri 2 e 40 centimetri, era di tela olona fatta arrivare dall’Algeria. Ne acquistai più di 300 metri. I teli furono dipinti dai miei operai decoratori con la visione di Samonà e finita la coloritura rimasero stesi nei miei saloni dello stabilimento di via Doberdò 35 a Milano, perché si asciugassero bene. Ad ogni telo sono stati eseguiti un centinaio di fori per fissare gli occhielli. Dalla ditta Pirola Passerini ordinai dei tubi di cartone del diametro di 10 cm e lunghi metri 2, 50 in ognuno vennero adagiati fogli di carta. I teli vennero arrotolati ed infilati in contenitori di P.V.C.
Lo spedizioniere Italturist di via Pirelli mi procurò per il trasporto di tutti i materiali un bilico cecoslovacco che venne a ritirare il tutto, anche il materiale vario occorrente per realizzare l’opera. Preparammo pacchi di viti e chiodi di varie misure, vernici, latte di bostik, vinavil, anche scatoloni con vino bianco, rosso, aranciate, coca cola, acqua minerale. Quando arrivammo con tutto il carico ad Oświęcim, prima di iniziare a scaricare il tutto dovemmo recarci alla Dogana di Bielsko-Biała per relativo sdoganamento».
Nasceva un’opera d’arte
Era il 2 aprile 1979, quando Teo Ducci firmava per conto di Gianfranco Maris una lettera al Direttore del Museo di Oświęcim, Kazimierz Smoleń, nella quale rivendicava l’intento di «opera d’arte» del Memorial, che proprio per questo non avrebbe fatto uso di fotografie, ma sarebbe stata «una libera poetica interpretazione della grande tragedia nella quale sono stati coinvolti molti italiani».
Nel maggio 1979 già si lavorava alla preparazione del Memorial nello stabilimento di Quattri a Milano.
Scriveva Pupino Samonà che in quei giorni si rese conto come «qualunque soluzione realistico-descrittiva o così detta astratta o ancora espressionistica sarebbe inevitabilmente scivolata in un lirismo che […] sembrava irriverente nei riguardi di chi aveva subito una simile infamia e per di più per i carnefici non vi sarebbe stata alcuna condanna morale adeguata alla dimensione del loro delitto». Punto di riferimento «categorico» diveniva per lui la spirale dell’architetto Belgiojoso, «un vortice ossessionante in cui una ideologia-religione negativa costringeva, umiliava, torturava, annullava ed eliminava tutte le religioni e le ideologie positive del resto dell’umanità».
E così nello stabilimento Quattri nasceva a poco a poco il Memorial nella convinzione che «il senso espressivo sarebbe dovuto essere globale e non particolare», seguendo evidentemente il magistero di Bertolt Brecht e delle ventiquattro scene drammatiche del suo Terrori e miserie del Terzo Reich. Ne derivò la scelta dei colori «di sicura resistenza ma di nessuna preziosità»: il rosso era la libertà e le rivendicazioni dei lavoratori, il bianco il liberalismo borghese e il cristianesimo, il giallo il contributo e il sacrificio del popolo ebraico, il viola il «segno di una sofferenza e una decomposizione generale», il nero l’annullamento culturale ed etico prodotto dal nazi-fascismo.
I corpi e i volti raffigurati dovevano essere necessariamente «diafani ed incorporei per lasciare intravedere la loro intima sofferenza ma anche la loro grandezza morale». Vi riconosciamo Gramsci, Gobetti, Don Minzoni, Matteotti, Croce, Salvemini, Giovanni Amendola, Carlo Rosselli. Nelle strisce c’è tutta la storia d’Italia che fu premessa alla tragedia di Auschwitz. Vi troviamo anche gli scioperi degli operai nel marzo 1944, drammatica premessa alla partenza di molti convogli di deportati verso il centro Europa.
Con tali fondamenti culturali operò Giordano Quattri prima a Milano e poi nell’agosto 1979 direttamente in Polonia, in collaborazione con Kazimierz Smoleń. Fu Smoleń ad ospitare lui e i suoi operai nella palazzina, che negli anni dal 1939 al 1945 era stata residenza del comandante Rudolf.
Il Memorial fu inaugurato il 13 aprile 1980 e fu lo stesso Quattri a documentare l’episodio con una serie di fotografie, che ha donato con altri materiali alla Fondazione.
Oggi le ricerche condotte in particolare e in tempi recenti, tra gli altri, da Elisabetta Ruffini (Isrec di Bergamo), Matteo Cavalieri (Isrec di Bergamo), Giulia Ingarao (Accademia di Belle Arti di Palermo), Sandro Scarrocchia (Accademia di Belle Arti di Brera), ci permettono di conoscere meglio l’intero progetto e la storia della sua realizzazione; ma credo che tutti dobbiamo dire un grazie di cuore all’impegno di questo «costruttore» della memoria, Giordano Quattri, che speriamo possa ottenere negli anni quell’attenzione e quei riconoscimenti, che troppe volte gli sono stati negati.
(Dall’articolo pubblicato da Massimo Castoldi su “Triangolo Rosso”, Nuova serie, anno XXX, nn. 4-6, giugno-settembre 2014, 10)
Attendiamo di veder rivivere al più presto il monumento nella sua nuova sede fiorentina.