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Milano, 7 ottobre 2021. La Fondazione Memoria della Deportazione ricorda lo storico Enzo Collotti (Messina, 15 agosto 1929 – Firenze, 7 ottobre 2021) nel giorno della sua scomparsa, ripubblicando il suo ultimo scritto, che è la prefazione alla nostra edizione degli scritti di Gianfranco Maris, Oltre Mauthausen. Sulle strade della giustizia. La globalizzazione dei diritti, a cura di Emanuele Edallo e prefazione di Enzo Collotti, Mimesis Edizioni, 2021.

 

 

 

 

 

 

 

 

Enzo Collotti, Prefazione

È per me un grande onore essere chiamato a scrivere la prefazione alla ristampa dei ricordi del suo soggiorno a Mauthausen di Gianfranco Maris. È l’occasione per richiamare l’attenzione su un testo fondamentale della letteratura sulla deportazione politica, ma anche per ricordare i legami che mi hanno associato, e ancora mi unisco­no, all’esperienza della deportazione nello scenario più vasto e più profondo del Novecento del totalitarismo che tanta parte è stata nelle riflessioni di Maris, non solo come ex deportato e presidente dell’A­NED, ma come uomo libero e pensante tra il ventesimo e il ventu­nesimo secolo. Se la memoria non rischiasse di fallire mi piacerebbe rievocare i tanti incontri in cui con Gianfranco confrontavamo le no­stre riflessioni, troppo spesso ahimè coincidenti, sugli accadimenti a noi contemporanei.

In Gianfranco, reduce dalla deportazione che in lui aveva acuito il rispetto per la vita e l’uso della ragione per valutare e comprendere i molteplici volti dell’agire umano, era percepibile il senso di non potere intervenire per porre un argine pur minimo alle scelleratezze e alle ingiustizie del mondo. Il senso forte della vita lo aveva aiutato a uscire dall’inferno di Mauthausen, e – a sua volta ‒ ad aiutare nelle sofferenze indicibili i più deboli dei deportati, ma soprattutto a plasmare una visione della vita in cui, da laico quale era, l’incontro con l’altro abbracciava l’intera umanità.

L’intransigenza con la quale difese il retaggio della deportazio­ne facendone uno dei valori culturali fondanti della nostra società civile, non era scaturita solo dal giuramento di Mauthausen, come già prima da quello di Buchenwald, ma dalla sua coscienza morale maturata e affinata a Mauthausen.

Il ricordo di Maris si intreccia inevitabilmente con le molte occas­ioni di iniziative comuni, dal lontano giorno in cui l’allora presiden­te dell’Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione, Ferruccio Parri, mi diede l’incarico di tenere i rapporti con l’Associazione degli Ex Deportati politici. Non vorrei sbagliare, ma mi pare di ricordare che la nostra collaborazione abbia avuto inizio al momento dell’allestimento delle bacheche del Museo della Deportazione nel Ca­stello dei Pio a Carpi. A partire da allora la collaborazione con l’ANED si è rafforzata nell’amicizia e nella solidarietà con Gianfranco.

Tra i congressi dell’ANED ai quali ho partecipato ne segnalo almeno due nei quali mi sentii emotivamente coinvolto. A Trieste nel 2004, e non solo perché avevo insegnato a Trieste e vi avevo vissuto tutti gli anni della guerra, ma perché avevo vissuto in persona prima il processo per i crimini della risiera di San Sabba. La seconda occasione è stata rap­presentata dal congresso dell’ANED che si tenne proprio a Mauthau­sen, e che Gianfranco volle come atto simbolico in risposta al successo politico di Haider, con una particolare sottolineatura della vocazione europeista scaturita dall’internazionalismo e dalla fraternità tra i po­poli, maturati nella deportazione e assimilati tra i valori fondanti della deportazione come evento culturale.

Il congresso di Mauthausen fu una occasione di grande allegria tra gli ex deportati che celebravano nel luogo della morte la rivincita della vita: compresi allora che l’intuizio­ne di Gianfranco era andata molto aldilà della semplice protesta contro Haider per affermare il valore della vita nel luogo dove si era voluto infliggere la morte attraverso il lavoro, quasi che il lavoro non doves­se essere la manifestazione dell’ingegno umano, ma solo la punizione dell’esistenza.

Ho insistito su questo particolare episodio perché a mio avviso è la migliore dimostrazione di come Gianfranco trasmetteva l’esperienza della deportazione tra i valori culturali destinati a nutrire la nostra società. Nel racconto di Mauthausen il momento della solida­rietà ha un posto privilegiato: Gianfranco ne fu un protagonista grazie alla sua prestanza fisica e alla consapevolezza che la sorte dei deporta­ti era interdipendente, aiutare a sopravvivere un deportato significava salvaguardare la sopravvivenza di tutti. Questo è un topos della de­portazione, da Primo Levi a Maris ce l’hanno insegnato senza riserve. Un altro tassello che conferma l’affermazione di Maris quando scrive “l’esperienza della deportazione come baricentro della mia vita”.

A conclusione di queste note e a coronamento di un lungo soda­lizio, non posso tacere che toccò a me trasmettere a Gianfranco la disponibilità della Regione Toscana a ospitare, come è avvenuto, il memoriale di Auschwitz, di proprietà dell’ANED, ignobilmente espulso dalla Polonia.